giovedì 8 gennaio 2009

Italiche emergenze

In questi giorni, pur di far finta che quanto succede nella striscia di Gaza sia una scaramuccia, pur di ignorare alcune centinaia di palestinesi morti, e sorvolando con estrema nonchalance sulle decine di violazioni dei diritti umani che sta perpetrando Israele (che ha di sicuro le sue ragioni, intendiamoci, ma che riesce con molta facilità a passare dalla parte del torto), i media italiani si stanno inventando di tutto.
Ad inizio anno, con un provvidenziale anticipo sui tempi soliti, a salvare dall'imbarazzo i mezzi di (dis)informazione, c'avevano pensato i saldi.
Mi sono svegliato il 3 mattina, e ho scoperto, infatti, che l'outlet di Serravalle Scrivia (che se non avessi fatto il servizio civile da quelle parti, manco sapevo cos'era lo Scrivia!) era diventato, in nottata, un centro d'interesse economico di straordinaria importanza, crocevia degli affari far impaalidire la borsa di Milano; in questo centro dell'alessandrino, infatti, si giocavano i destini di tutta l'enonomia italiana, tanto da meritarsi collegamenti in diretta in tutti i Tg nazionali (non oso pensare cosa sia successo nei tg piemontesi e liguri!).
Passata l'euforia dei saldi, c'ha pensato il maltempo a salvare il culo a Riotta&Co.
Inaudito, a gennaio la neve paralizza il nord Italia!
E via con i servizi sull'emergenza freddo, sui consigli su come difendersi e sulle improponibili lamentele delle opposizioni di turno nei vari paesi (se leggete i vari interventi, in ogni comune, le opposizioni dicono le stesse cose, senza accorgersi che, nel comune vicino, l'opposizione del colore avverso, muove le stesse (infondatissime) critiche: W l'Italia!).
Oggi, grazie al Facebook "di" Juri, ho scoperto questo articolo de La Stampa, a firma di Gabriele Ferraris.
Lo cop'incollo, perchè m'è piaciuto molto.


Nevica Comune Ladro!


Okay, nevica.
È gennaio, siamo al Nord. E giornali e tivù urlano il dramma epocale: «Il Nord nella morsa del gelo». Mi domando cosa farebbero se il Nord, a gennaio, fosse nella morsa del caldo. Mentre scrivo, cala la sera sul giorno della Grande Nevicata. Grande Nevicata che, dopo essersela spassata per dodici ore, sembra voler scivolare banalmente nella pioggia: d’altra parte, si sa, le tragedie spesso trascolorano nella farsa. Non so, magari quando mi leggerete saremo sotto quattro metri di neve, con i San Bernardo che ci cercano: purtroppo per i giornalisti, il tempo fa quello che vuole, e se ne frega delle ragioni dell’informazione. Però adesso sto parlando della Tragedia Collettiva che abbiamo vissuto ieri. E delle tante piccole tragedie private che la Tragedia Collettiva - figlia dell’odierna cultura dell’Emergenza a Tutti i Costi - reca in sé, e che s’intrecciano nei racconti dei sopravvissuti a inenarrabili tormenti, golosamente raccolti da telegiornalisti in tenuta da Amundsen verso il Polo. Una signora confessa di non essere riuscita ad andare al lavoro «perché c’era da camminare», e nei suoi occhi si scorge l’orrore vero. Un pendolare descrive un truce viaggio fra ritardi secolari, quasi che quando non nevica i treni viaggiassero con svizzera puntualità (by the way, in Svizzera nevica di continuo, ma i treni svizzeri viaggiano, per l’appunto, con svizzera puntualità). Uno studente proclama lo sdegno per la mancata chiusura delle scuole, «mentre nelle altre città stanno a casa», colpa del cocciuto Chiamparino che ha voluto fare il fenomeno. Salvo tardivamente ravvedersi, mentre ormai la Grande Nevicata scemava.La Tragedia Collettiva del Nord nella morsa del gelo il vostro cronista l’ha vissuta ieri mattina alle 7,30, mentre espletava il dovere civico - e in quanto dovere civico dai più trascurato - di sgombrare il marciapiede di casa: una vittima della Tragedia Collettiva l’ha preso a male parole perché «gli buttava la neve sulla macchina». Più tardi, alla fermata del 34 a Porta Nuova, il vostro cronista ha partecipato al dramma della turba in attesa costretta a spostarsi di un paio di metri per consentire agli spalatori - tutti ragazzi di colore - di ripulire l’area: va riconosciuto, tuttavia, che nonostante il grave disagio i molestati si sono astenuti da invettive del tipo «che se ne tornino a spalare al loro paese». Pur nella Tragedia Collettiva, gli italiani restano brava gente.A bordo del bus, ovviamente affollato, il vostro cronista ha raccolto il grido di dolore della madama che, affranta per le scarpette bagnate (i doposcì erano rimasti a Bardonecchia, in città mica si usano), doveva pure sopportare il pigia pigia: «Figurarsi se mettono più bus, pensano solo a mangiare». Chiaro: anziché comperare dieci bus da tirare fuori dal deposito solo quando nevica (se fa bello, la madama gira in Suv), il dissoluto Chiampa preferisce gozzovigliare con ostriche e fricassee. Per strada, il vostro cronista ha pure registrato la rabbia dei cittadini che, calzando scarpe cittadine, scivolavano sui marciapiedi cittadini innevati: rabbia contro il Comune, naturalmente. Benché, come sopra ricordato, la pulizia dei marciapiedi spetti ai proprietari degli stabili. Pochi tra i cittadini scivolanti interpellati dal vostro cronista sapevano di questa iniqua vessazione. Nessuno aveva ripulito il marciapiede di casa propria, prima di andare a scivolare su quelli degli altri.Arrivato in redazione - metropolitana più bus, più due passi sotto la neve, venticinque minuti; in auto, nei giorni di sole, col traffico ne impiego trenta - il vostro cronista ha letto i proclami dei partiti d’opposizione, che accusano il governo cittadino di non aver saputo fronteggiare la Grande Tragedia. Ogni opposizione, in consonanza con i cittadini scontenti, attribuisce ad ogni governo maligni poteri sciamanici, tipo far piovere («Piove, governo ladro») o nevicare («Nevica, governo ladro»); e giustamente impallina il sindaco che non ha chiuso le scuole. Quando le chiuse, in occasione di un’altra nevicata che poi risultò una nevicata della mutua, lo impallinarono perché le aveva chiuse. Purtroppo per i sindaci, il tempo fa quello che vuole, e se ne frega delle ragioni della politica; e delle speranze degli studenti.La neve, dicono i poeti, mette a nudo l’anima poetica delle cose. Ma mette a nudo anche l’anima lagnosa dell’umanità. Che non concepisce l’ipotesi di rinunciare alle scarpe da città, o a guidare sull’asfalto asciutto in ogni stagione. Un tempo, d’inverno si indossavano disinvolti scarponi chiodati. Adesso dicono che sta per cominciare una nuova Piccola Era Glaciale. Tenetene conto. E l’inverno prossimo, i doposcì non lasciateli a Bardonecchia.



PS: Auguri a tutti, anche se in ritardo!

4 commenti:

Anonimo ha detto...

pure qui non fanno altro che lamentarsi per i disagi, e nessuno che pulisce il marciapiede davanti casa. oh che incivili.

domenica eravamo proprio in svizzera, altro mondo. altro mondo. altra gente.

e di quello che *davvero* succede nel mondo frega gnente a nessuno, è vero.

(quella cosa sull'outlet non ho ancora capito se è più iquietante del laido tentativo di farci capire che dubai è il futuro)

dd2

Anonimo ha detto...

ieri sera ho visto chetempochefa speciale, e la Littizzetto ha detto le stesse cose di questo articolo, ma proprio ugualeuguale, senza citarlo.
Forse il giornalista è fra i suoi autori?

wis

Anonimo ha detto...

http://it.youtube.com/watch?v=7Fo75RTgqsM
il link per vedere la Littizzetto
w.

Anonimo ha detto...

io sono una donna previdente: ho comprato tre paia di anfibi, di diversa fattura e altezza, così sia che piova sul Tevere, sia che nevichi sul Cuppolone, me ne posso andare in giro. Magari d'agosto, eh!