venerdì 22 maggio 2009

Facciamoci sentire!

Sono ormai (quasi) 18 anni che vivo a Roma, da "fuorisede".
Studente prima, disoccupato per un pò, sfruttato in nero per un altro pò, lavoratore a tempo indeterminato da qualche anno orami.
Sempre, da sempre, residente in Calabria.
Per pigrizia, ma anche per un pizzico di orgoglio, non ho mai voluto spostare la residenza a Roma.
Da 18 anni, quindi, convivo con un domicilio che dista centinaia di Km dalla mia residenza.
Quando ho bisogno di un docuemento, per il quale la mia presenza fisica, e non delegata, è necessaria (penso, per esempio, alla Carta d'Identità), se non voglio litigare con qualche sportellista del comune di Roma che fa ostruzione e mi dice che è troppo complicato e lungo fare la Carta presso un comune diverso da quello di residenza, devo per forza tornare al mio paese.
Ma non m'ha dato mai fastidio, più di tanto. Dopotutto, è una volta ogni 5 anni (forse ora 10).
Non mi pesa nanche il fatto che la corrispondenza ufficiale arrivi giù, o che per le cose importanti debba sempre indicare due diversi indirizzi.
Diciamo che c'è di peggio in giro.
Ciò che non mi è mai andato giù, invece, è sempre stato il fatto che, questo "disagio" (voluto o iposto, poco importa) mi impedisse (o comunque mi rendesse quanto meno complicato) di svolgere l'unico (ancora per poco, mi sa) diritto/dovere che mi permette di partecipare alla vita politica e democratica del mio paese: VOTARE!
Che si tratti di elezioni politiche o amministrative, europee o referendum, chi, come me, non si trova fisicamente nel suo paese al momento del voto, di fatto, NON PUO' VOTARE.
Certo, ci sarebbe la scappatoia del "rappresentante di lista", ma vale solo per i referendum e implica, comunque, un impegno che va ben oltre il voto.
Se voglio esprimere il mio parere, attraverso un voto, devo, per forza, tornare a casa.
Si, è vero, lo Stato (bontà sua) mi riconosce uno sconto sul biglietto del treno.
L'ultima volta che ne ho usufruito, mi sembra che lo sconto fosse del 66% (su un biglietto A/R, però!), non so se esista ancora e a quanto ammonti ora.
Mi sta bene, anzi, mi starebbe bene se mi trovassi a Roma e la mia residenza fosse a Latina.
Mi metto sul treno la domenica mattina, voto, magari pranzo con i miei, mi faccio un giro in piazza e poi, la sera, me ne torno a Roma.
Ma se, porca puttana!, lavoro (o studio) a Trieste e sono residente a Ragusa, e se, soprattutto, non è previsto che un lavoratore abbia diritto a dei giorni di ferie (retribuiti e non scalati dal monte ferie!) per recarsi a votare, così come non è previsto che le Università sospendano le attività durante le votazioni, mi spiegano lor signori come faccio a votare???!!!
Le soluzioni sono due.
Fare i salti mortali, o prendere dei giorni di ferie.
Tra le due, la stragrande maggioranza di noi, sceglie la terza: non votare!
E che giramento di balle sentire le solite osservazioni di grandi politologi che commentano il dato della grande astensione al Sud!
Ho asistito, negli ultimi anni, con rabbia al dibattito sul dovere morale di far votare gli italiani all'estero.
Ho subito l'umiliazione di veder votare nipoti di cittadini italiani residenti in Honduras, persone che l'Italia non sanno manco dove sta.
Ebbene, loro, da latitudini e longitudini lontanissime, possono votare, noi, a 700Km, no!
Io non so se la soluzione possa essere il voto delegato, o magari quello per corrispondenza.
Immagino, però, che le difficoltà che ci sono per un voto amministrativo, non ci siano per partecipare ad una tornata elettorale europea o, meglio ancora, ad un referendum.
Si potrebbero studiare e cercare soluzioni diverse per permetterci di votare, se solo qualcuno fosse interessato al problema.
In questi giorni un gruppo di ragazzi ha creato un sito web e lanciato una petizione.
Forse è il caso che cominciamo ad alzare la voce anche noi, perchè tanto mi sembra sia acclarato che, in questo paese, ha ragione chi riesce a fare la voce più grossa.

Nessun commento: