Giorno più, giorno meno, è da oltre una dozzina di anni che
lo seguo.
Decine (e decine!) di concerti, tante feste de l'Unità e di Rifondazione, insalate di fagioli fredde e Montepulciano (d'Abruzzo) caldo, la consapevolezza che anche la mia generazione (nel senso anagrafico, si, ma soprattutto politico) avesse trovato il suo artista di riferimento.
La sensazione che la scuola romana stesse risorgendo dalle proprie ceneri prendeva consistenza, non c'era solo Daniele, ma anche
Niccolò Fabi,
Marco Conidi,
Max Gazzè,
Marina Rei e altri che dimentico.
Roma aveva trovato gli eredi della tradizione
cantautorale degli anni '70.
Il
Folkstudio ieri, Il locale oggi.
Abbiamo fatto parecchia strada insieme, parte di quello che sono oggi, nel bene e nel male, è opera sua, sono cresciuto con le sue canzoni, m'ha fatto ballare, incazzare, divertire ma, soprattutto, pensare.
Molto spesso riesce a dare voce a ciò che penso, a mettere in musica i miei pensieri, a darmi le parole per esprimere in poesia ciò che vorrei dire.
Dodici(lunghi)anni, quindi, e questo, ennesimo, concerto.
Ma questa volta è diverso, è un concerto che sento speciale, non c'è un motivo, non ce n'è uno solo, sono tanti e diversi.
Cerco di tornare indietro con la mente all'ultimo concerto, lo scorso anno? Si, ma era con gli
Inti Illimani, emozionante, molto emozionante (e chi se la scorda
El pueblo unido cantata insieme a migliaia di persone?). L'anno prima ancora? Quel bellissimo trio acustico a
Montale, troppo poco, ma pelle d'oca su L'uomo intero. E l'anno prima ancora? Ancora al Fiesta! (ma dalla parte opposta), un divertentissimo concerto in coppia con Max Gazzè, un bel tuffo indietro nel passato. Ma quanto tempo è che non vedo un concerto DI Daniele?
Mi sa che l'ultimo è stato a La Palma, non mi ricordo più neanche quando.
Arrivati, di buon ora, a
Capannelle, mi rendo subito conto che questa serata non è speciale solo per me. L'atmosfera che si respira è quella dell'evento. Sono da poco passate le 19 e c'è un mare di gente, già in fila davanti ai cancelli ancora chiusi (e che, molto provvidenzialmente, verranno aperti in orario!).
Mi sfilano davanti centinaia di persone: ex ventenni famigliamuniti (con tanto di pargoli al seguito), coppie gay, attempati e improbabili hippies, gli immancabili finto comunisti (pariolini vestiti di stracci da centinaia di €uri), qualche rasta.
Un popolo colorato, abbronzato, sorridente ed emozionato.
Entriamo che gli spalti sono già pieni, guadagniamo una buona posizione a pochi metri dal palco.
Il tempo di un panino e una birra, che l'area si riempie.
Gli accenti intorno a me si mescolano tra di loro, un esperanto incomprensibile: calabresi, salentini, napoletani, siciliani, romani e chi più ne ha, più ne metta.
Non è molto diverso dai concerti di 10 anni fa. Daniele è sempre stato un artista che ha solo sfiorato lo star system, ma la sua nicchia di pubblico è sempre stata numericamente importante; già agli esordi i suoi concerti non erano per pochi intimi.
Si spengono le luci, inizia il concerto.
Eccolo sul palco. Ora ha nuovamente i capelli lunghi, come tanti anni fa, se non fosse che mi circonda mi riporta a questo presente, potrebbe benissimo essere un concerto del '96!
Quasi dueoremezza di concerto, tante per molti, poche per Daniele.
Troppe canzoni restano fuori dalla scaletta, (mi) mancano
L'Y10 bordeaux,
Me fece mele a chepa,
Samantha,
Amore mio,
La classifica, e chissà quanti altri avranno una lista diversa.
Forse anche questo è un altro metro per misurare la statura di un artista: quante persone riesci a lasciare a bocca asciutta, nonostante oltre 2 ore di concerto.
Ma per una canzone che manca, altre dieci sono in scaletta.
E allora agli occhi e alle orecchie arrivano tra le altre,
Il mio nemico,
Banalità e
Io fortunatamente.
Ma Daniele gioca in casa, e se sei a casa tua, inviti chi vuoi, e così si materializzano un irriconoscibile Valerio Mastandrea, a coreografare
Gino e l'alfetta, e Fabio Ferri a ripetere (dopo chissà quanto tempo) il balletto di
Salirò.
Oltre ad invitare gli amici, se sei a Roma, non puoi non fare
Testardo, una canzone "che ci si ritorce contro", dice Daniele alla fine.
Stremato, sudato e strafelice, il pubblico ora desidera una sola cosa, ed eccolo accontentato.
E' sempre un'emozione cantare Cohiba col pugno alzato.
Certo, 10 anni fa i pugni erano di più e quel
venceremos era più incazzato.
Ora i pugni sono di meno, e qualcuno pensa che basta avere un paio di ministri, per ritenere di avere vinto.
Ora si, che possiamo tornare a casa.
Ma prima, una birra, da guadagnarsi sgomitando tra la folla di quello che voleva essere il festival della cultura latinamericana, ma che, molto opportunamente, da qualche anno, si chiama solo "Fiesta!", chè sennò doveva sottotitolarsi "festival del culturismo coatto".
Si ringraziano gli utenti youtube "citati" in questo post.